Intervista a Peeta

L'inganno dei graffiti tridimensionali

La prima volta che abbiamo conosciuto di persona Peeta è stato durante la Main Street Collective (Hausammann Gallery, Cortina) il primo marzo 2014, ma il ricordo delle sue opere spunta ancora fuori. Tra i tanti talentuosi street artist presenti all’evento, Peeta, nome d’arte di Manuel Di Rita, rapisce per la sua capacità di far letteralmente uscire i soggetti dalle sue tele. L’illusione che qualcosa esca dal disegno nel dipinto o su un muro ci ha fatto credere di essere sotto effetto di alcolici o sostanze stupefacenti (cosa che comunque crediamo sia poi avvenuta in sua compagnia, ma questa è un’altra storia!). Quella che vi raccontiamo è invece un viaggio tridimensionale sui muri delle piccole e delle grandi città.

HKWALLS Festival, Hong Kong, Sham Shui Po, Golden Computer Arcade, 2016

Ci  spieghi cos’è la sculptural lettering?

In generale è una forma di lettering che studia i caratteri al fine di renderli illusoriamente tridimensionali. Nel mio caso in particolare, parte da un reale studio della scultura e dei volumi, dalla creazione di lettere plastiche per poi renderle attraverso la pittura anche su piani bidimensionali (muri, tele).

Come mai hai scelto la street art come professione?

È stato abbastanza automatico. Inizialmente facevo i graffiti come qualcosa di collaterale alla mia “vita normale” che invece comprendeva studiare, poi da più grande lavorare. Pian piano però ho capito quanto da tutto ciò che facessi (studi di arte e design così come lavori nello stesso ambito) cercavo semplicemente di trarre il massimo degli insegnamenti per poterlo applicare ai graffiti. I graffiti erano diventati inscindibili dal resto della mia vita e pian piano l’hanno assorbita ed è stato tutto un processo fluido e spontaneo. Il reale momento di svolta è stato forse quando ho iniziato a creare e vendere delle tele per mantenermi all’università: lì ho capito che la mia passione poteva essere anche la mia fonte di guadagno, che i graffiti potevano diventare un lavoro, non sapevo esattamente fino a che punto, ma sapevo che era possibile.

Teatro Marinoni, Lido di Venezia (IT), 2012

Cosa può dare l’arte alla vita di strada?

L’arte di strada modifica gli spazi urbani e con essi la loro vivibilità, generando delle reazioni emotive oltre che razionali tra chi vive quegli spazi quotidianamente ed andando ad alterarne la qualità della vita possibilmente in modo positivo.

Secondo te, la street art è sottovalutata? Perché?

Diciamo di sì, se si guarda l’etichetta alle volte declassante che viene posta su tutta la cultura (street art, graffiti) ispirata da un background storico che di artistico spesso ha avuto poco ed è sempre stata al centro di critiche e polemiche. È inoltre vista come una cosa per l’appunto “di strada” e dunque di minor valore, come se la sua estrema fruibilità e la sua gratuità la relegassero a qualcosa di superfluo e troppo facile da reperire, poiché fuori dai circuiti istituzionali che indicano l’arte come un qualcosa di raro e prezioso.

Dall’altro punto di vista è ad oggi sopravvalutata e iper-sfruttata. È un linguaggio semplice ed efficace per parlare alle persone e dunque il media preferito: non solo a livello artistico ma anche a livello di marketing, ad esempio, rappresenta una via facile, poiché rapida e volendo invadente. Ma non deve essere l’unica.

FX Wall, Bologna (IT), 2016

Quella per le lettere è quasi un’ossessione. Che significato hanno per te?

Le lettere che io dipingo sono le lettere del mio nome e dipingerle è per me come autoritrarmi. Dopo decine di anni che dipingo le stesse lettere devo però ammettere che, nonostante siano rimaste alla base delle mie composizioni, hanno assunto forme sempre più astratte diventando pretesti per studi geometrici, grafici ed estetici.

Come ti approcci alle tue opere?

Dipende molto da che tipo di opera svolgo, gli approcci cambiano enormemente.

Quando dipingo i muri c’è una fortissima componente emozionale ed una grossa influenza del contesto. I miei muri a volte seguono progetti già stesi, altre sono totalmente improvvisati. Le strutture architettoniche, le luci ma anche l’atmosfera o le persone che frequentano il luogo determinano fortemente l’esito del mio lavoro.

Per quanto riguarda le tele invece seguo in parte l’approccio emozionale, l’influenza delle mie emozioni o del contesto in cui lavoro, dall’altra parte un approccio razionale, uno studio quasi scientifico che rende le tele un esercizio estetico personale più che un dialogo con il pubblico.

Infine agli antipodi c’è l’approccio verso le sculture: fortemente tecnico, retaggio del mio passato di designer, che segue step ben prestabiliti di progettazione ed esecuzione.

Nel mondo della street art c’è per te qualcuno di particolarmente Notorious?

Partendo dal fatto che “notorious” ha un’accezione negativa non saprei bene chi indicare, ma con simpatia potrei dirvi Zed1, alcuni suoi lavori molto espliciti l’hanno sicuramente reso “notorious”!

HKWALLS Festival, Hong Kong, Sham Shui Po, Golden Computer Arcade, 2016
Draw the Line 2016, Campobasso (IT)
5 Points, New York City (NY), 2011

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