Intervista a Giulio Masieri

Il ritmo sulla tela

La prima volta che abbiamo visto Giulio Masieri è stato alla Trieste Tattoo Expo, e ci ha lasciato letteralmente senza parole. Danzava davanti alla tela invadendo, sembrava dipingere con tutto il corpo, muovendosi un’area decisamente ampia rispetto a quanto ci può aspettare da un qualsiasi pittore. Suoni e colori sembravano dialogare in una dimensione nuova e unica, ipnotizzante. Trovarlo poi nello studio del nostro amico Andrea Pietrobon, dipingere un vero e proprio affresco (non qualcosa che ci assomiglia, ma un affresco vero e proprio!), ci ha lasciati ancora una volta ammutoliti. Il contrasto tra l’irruenza della performance live e la pacatezza di un’esecuzione tecnica e meditata, ci ha fatto capire di trovarci di fronte ad un artista dalla caratura rara.

Quando hai iniziato a dipingere e perché?

Ho iniziato a dipingere sin da piccolo per imitare mio padre, uomo dalla personalità molto creativa. Mi sentivo stimolato da lui a creare giochi, dipingere, inventare marchingegni nuovi per il divertimento che sta alla base del processo creativo.

Chi sono stati i tuoi maestri?

Ho avuto molti maestri, pittori e non che mi hanno lasciato una parte della loro conoscenza, per lo più miei coetanei. Chiaramente il mio apprendimento l’ho formato anche sui libri e ho avuto l’occasione di incontrare molte figure illuminanti nelle mie esperienze lavorative.

Quanto conta l’illusione nell’arte?

L’illusione in quanto finzione della realtà conta moltissimo se hai un approccio tecnico ma la bella idea non mi accontenta mai: ho bisogno di vedere anche altro all’interno di un’immagine. La complessità mi attrae molto: può essere tradotta come virtuosismo tecnico ma deve anche essere in grado di emozionare. A me non piacciono i prodotti solo tecnicamente perfetti, né creazioni artistiche puramente intellettuali perché considero un’opera completa solo quella che racchiude entrambi gli aspetti.

In che modo, secondo te, l’arte contemporanea si può rifare al passato?

Penso che l’arte abbia l’obbligo di rifarsi al passato, se il contemporaneo esiste infatti, lo si deve solo al passato. Più studio i nostri predecessori e più mi trovo a scoprire cose innovative. Percorrere la nostra storia artistica mi serve come spunto per riflettere: noi siamo il frutto della nostra cultura perciò un confronto con i nostri maestri diventa un passaggio obbligato per poter guardare avanti con la dovuta consapevolezza. Vedo l’evoluzione artistica come un passaggio di testimone tra una generazione e l’altra, dove ognuno mette la sua quotidianità, il suo contesto storico. Alla fine scopri che le esigenze sono sempre le stesse, solamente esplicitate con i mezzi del proprio tempo. Quelle che prediligo sono le figure in grado di risultare innovative sempre, come, ad esempio, Leonardo Da Vinci.

Cos’è per te la musical art?

La musical art è un’idea antica, racchiude il concetto di arte unica, in grado di raccogliere più discipline. Il mio progetto, nello specifico,  si chiama AUDIOPAINT : ormai, ha raggiunto i nove anni di vita ed è in continua evoluzione. Si tratta di uno strumento musicale che appare come una semplice lavagna bianca, in realtà, nel retro ho posizionato delle leve che vanno a premere su pulsanti, in modo da creare suoni qualora io mi metta a disegnare. La complessità del pannello non viene immediatamente percepita, in molti pensano che ci siano delle basi durante le mie performance, in verità, la musica viene gestita live proprio attraverso questo meccanismo di leve. Una delle cose interessanti è che differisce da un qualsivoglia touch pad perché la trasmissione meccanica permette anche un approccio analogico.

La tua ricerca artistica ti ha portato a dipingere affreschi e pitture parietali: perché questa scelta stilistica?

Ho sempre amato le cose grandi, quando ero bambino giocavo in spazi ampi, un foglio per me era insufficiente ad esprimere ciò che volevo raccontare. Mi ha sempre dato molta soddisfazione riuscire a controllare una dimensione estesa e le pareti divenivano supporti consoni alle mie esigenze. Nello stesso tempo, la mia vicenda lavorativa mi ha portato ad adottare la pittura parietale come fonte di reddito.

Udine - 20/02/2015 - AUDIOPAINT - Giulio Masieri e Matteo Dainese - Backstage Video - Regia e Riprese David Da Ros - Foto Elia Falaschi/Phocus Agency © 2015

L’arte è stata superata o sublimata dalla fotografia?

Assolutamente no perché la fotografia è piatta mentre la pittura è tridimensionale. Ci sono pittori che usano una fotografia per dipingere una modella, altri che si servono di una modella in carne ed ossa. I primi traducono quello che vedono bidimensionalmente, i secondi indagano anche in quello che sta dietro e dentro la figura.

Un pittore della seconda tipologia può permettersi di girare fisicamente attorno al soggetto, cogliendone appieno la sua tridimensionalità. Nella pittura tu hai un software come Photoshop installato direttamente nella tua mano, cosa si può volere di più, è anche gratis! I bravi fotografi sono quelli che riescono a dipingere con la macchina fotografica. Se guardi le quadrature dipinte del Tiepolo sembrano 3D, con la fotografia non si possono raggiungere gli stessi risultati.

Tra le tue conoscenze, c’è qualcuno di veramente “famigerato”?

Il mondo è pieno di persone famigerate ma non tutto il male vien per nuocere…

Udine - 20/02/2015 - AUDIOPAINT - Giulio Masieri e Matteo Dainese - Backstage Video - Regia e Riprese David Da Ros - Foto Elia Falaschi/Phocus Agency © 2015
Udine - 20/02/2015 - AUDIOPAINT - Giulio Masieri e Matteo Dainese - Backstage Video - Regia e Riprese David Da Ros - Foto Elia Falaschi/Phocus Agency © 2015

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