Skateboard, streetwear... strange!
Qualche giorno fa stavamo pensando a quanto cool sarebbe girare per l’ufficio su uno skateboard, quando subito abbiamo pensato di chiamare Davide per uno scambio di idee. Quando si parla di skateboarding e di streetwear, in Italia, non si può non parlare di lui. Non solo un tipo decisamente notorious, ma anche strange! Co-fondatore di Strange Skateboard e titolare di Flame Shop, Davide Martinazzo è uno che sulla tavola ci è nato e non ci è più sceso. Ci ha parlato di ciò che ha visto, di ciò in cui crede e della sua scelta di rimanere skater. Una scelta che riempie lo spazio che separa il cemento dalla tavola nel momento del flip.

Non solo notorious, ma anche strange. Skater, showman e imprenditore. Da quanto tempo sei tutto questo?
Vado in skate dal ’90 e più o meno dallo stesso tempo mi occupo di “cose di skateboard”. La mia passione è diventata lavoro, nel tempo sono diventato team manager, ho gestito il marketing per aziende, ho realizzato video interviste e negli ultimi 13 anni mi sono spinto nel mondo del retail, cercando sempre nuovi stimoli.
Perché hai scelto lo skateboard?
Non c’è nessuna scelta. Non so le nuove generazioni come scelgano di fare skateboard piuttosto di altri sport. Spero sia come è successo per me: non lo scegli, ti capita. E non puoi più farne a meno. Quando ho comprato la prima tavola per gioco, per me non è più esistito nient’altro. C’era lo skateboard e basta! Molti hanno altri hobby, per me c’era solo quello. La sensazione che provi è totalmente svincolata dalle meccaniche sportive classiche a cui siamo abituati. Qui sei tu l’allenatore di te stesso: la determinazione è tutto!

Cosa hai provato quando hai chiuso il tuo primo ollie?
È stato strano. Era una sensazione nuova e non sapevo nemmeno come avrei dovuto eseguirlo. Ero con un gruppo di ragazzi di Treviso che già skatavano e davano per scontato saper ollare. Dopo un po’ di titubanza ci ho provato. Loro mi hanno guardato e mi hanno detto “è ok! Semplice, niente di più”. È stato strano, mi sono reso conto che l’avevo fatto per la prima volta ed ero già davanti ad un pubblico!
Quando hai fondato la Strange Skateboards? E perché Strange Skateboards è così... Strange??
In realtà il concept di Strange era già nato poco prima che arrivassi io. C’era già un brand con le prime tavole. Poi col mio arrivo nel 2003, Strange Skateboards ha avuto un boost. Si chiama così semplicemente perché… funziona! Funzionava e le persone e gli elementi che la componevano erano veramente bizzarri: Paolo Riscica arrivava dalla scena hardcore, Nicola Favaro dall’Accademia di Belle Arti e Adi Castegna aveva origini tedesche… Lo skateboard all’epoca era di fatto una cosa strana e il concept reggeva.
In questo momento Strange è in stand by. Sono molto concentrato nelle consulenze e sto aspettando nuovi stimoli. Nuovi idee che possano mettere passione a questo progetto.
Gli “occhi della strada” ne vedono di tutti i colori. A te cos’ha insegnato la strada?
Praticamente tutto. Tutto quello che non ho letto nei libri l’ho imparato in strada. Se avete avuto il lusso di perdervi in qualche città, senza sapere che cosa accadrà, senza pianificare nulla, potete imparare veramente tutto. Ho imparato ad adattarmi, a viaggiare da solo, ho appreso le lingue. Ad esempio posso dire di aver imparato meglio l’inglese per strada piuttosto che a scuola. Avevo 16 anni quando ho fatto le prime interviste a dei pro americani: loro mi chiedevano come fosse possibile, ero solo un ragazzino, non avevo neanche i baffi, dicevano! A me in realtà bastava immergermi in quel mondo, leggevo e guardavo le interviste sugli skateboarder e apprendevo tutto ciò che mi serviva.
Hai un negozio specializzato in abbigliamento streetwear. Una scelta coraggiosa quando l’hai aperto, che ora è una moda diffusa e lo sarà sempre più. Lavori in esclusiva con alcuni dei brand più “street” e oggi puoi dire di essere un influencer nel settore. Quanta lungimiranza e quanta pazzia ci sono state nella tua scelta?
La lungimiranza era dettata dal voler parlare una lingua che 13 anni fa era sconosciuta ai più. Avevamo bisogno di comunicare Strange e non era l’era digitale, non si poteva creare una pagina su Facebook e sponsorizzarla. Con un negozio, delle birre fresche e un concerto, avrei fatto vedere alla gente ciò che eravamo. Siamo stati tra i primi in Italia a girare dei video su un team di skateborder italiani: non facevamo vedere l’ennesima figata degli americani, era una cosa tutta italiana, finalmente. Ci stavamo inventando il nostro lavoro, nonostante il mercato fosse praticamente nuovo all’epoca. Dopo 15 anni in questo settore, nonostante la crisi provocata dal web, abbiamo una brand reputation davvero solida. Siamo stati scelti da Vans, Nike e altri brand per alcune partnership: si affidano a noi per le persone che siamo, non per la location (Castelfranco non è di certo Milano o Roma!). Il microcosmo che abbiamo creato come Flame Shop e Strange Skateboard è interessante per loro, perché a differenza di altri che hanno smesso anni fa, noi ci crediamo ancora!
Giacca, cravatta e skateboard. In alcune città cosmopolite è normale, qui l’abbinamento è più difficile. Quanto contano lo stile e il look per te?
Quando si vede uno skater in giacca e cravatta è perché lo skate è già parte integrante di quella comunità. Per gli americani ad esempio rappresenta la nuova bicicletta. Qui forse è più difficile, ma sono dell’idea che un bravo avvocato sia tale sia che vada in skateboard sia che giri con la limousine. In questa contaminazione, stile e look sono importanti, ma io preferisco di più lo skater come persona che il look da skater. Perché il look da skater molte volte, se non è interpretato da uno skater vero, si chiama poser!
Gli stili stanno cambiando? Dove sta andando la moda street? Qual è la tendenza attuale?
Siamo arrivati al punto in cui tutto si sta contaminando. Gli stili e le influenze diverse si mescolano, pur continuando a puntandosi il dito l’uno contro l’altro: gli skater dicono che la moda li sta uccidendo, ma al tempo stesso è proprio lo skate ad essere nato come stile, come moda, anche nel semplice atto di togliere i loghi dai loro vestiti per rendersi puri. Ora pare che i grossi brand di moda stiano creando un hype pazzesco intorno al mondo dello skate che però non corrisponde alle vendite.

Non hai paura che i vari fashion brand che propongono una moda esteticamente simile, vadano a soffocare la vera natura dello skate con la possibilità di estinguerla?
Ci sono dei pro e dei contro. È come l’amore: se deve finire è giusto che finisca. Se lo skateboard si estingue perché la moda ha fatto indossare la felpa di Thrasher ad una fashion blogger famosa, allora è giusto che si estingua. Ma non credo andrà così. Credo che la contaminazione sarà sempre più forte. Al contrario se uno smette di skatare perché è troppo di moda, allora non ha capito nulla.
Nel tuo shop hai la possibilità di conoscere molti ragazzi giovani che hanno voglia di spaccare il mondo. Che cosa leggi nei loro occhi?
Non vedo più quello che vedevo io un tempo. Ma sono le nuove generazioni, non i miei clienti, ad essere un po’ alla deriva. Pochi hanno il fuoco dentro. Non voglio assolutamente dire che “ai miei tempi era meglio”, io adoro questi tempi, vorrei avere 18 anni adesso! Ma spesso vedo che chi entra nel mio negozio arriva con una sorta di overload di informazioni e al tempo stesso senza sapere di preciso cosa cerca. Ho paura che a loro manchi la passione, l’entusiasmo. Non tanto per lo skate, ma proprio in generale, per la vita. L’entusiasmo, ragazzi miei, è l’unica cosa che serve.

Cerchiamo gente con la “Notorious attitude”. Who’s next?
Di amici talentuosi ne ho parecchi. Spaziano dalla fotografia, all’arte, dal teatro fino al cinema. Se vi piace la fotografia di skateboard e non solo date un occhio ai lavori di Ramon Zuliani, Davide Biondani e Claudio Majorana (che sta lavorando al suo nuovo libro). Se vi piace l’arte avrete gia sentito parlare di Nico Vascellari e le sue performance. Per il teatro vi consiglieri di vedere gli spettacoli di Silvia Costa (lavorerà con Vascellari a Parigi questo marzo). Di artisti emergenti sto osservando i lavori di Daniele Costa e Nicola Novello. Sono giovanissimi e pieni di talento. Qui a Nord Est poi ci sono talenti che uniscono passione e business.
Alessandro Toso e Diego Santi di Avere la Barba che riescono a creare un modello di business partendo solo dall’esigenza di voler raccontare storie di amici barbuti. Andrea “Zen” Zanata ama la musica e seguendo il suo istinto ha portato anche quest’anno 90.000 persone al Home Festival. Francesco Mandelli invece è gia Notorious ma la considero ancora nella categoria di chi continua a cercare. E una birra con lui fa dimenticare la settimana lavorativa in un attimo.
Tutti noi siamo dei “Ricercatori”. Non so cosa troveremo alla fine del tunnel ma per adesso continuiamo a scavare.
Foto di apertura Claudio Majorana.
Foto evento Push di Ramon Zuliani.
Altre foto di Alberto Chimenti Dezani, Davide Biondani e account Instagram di Davide Martinazzo.
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